Chiusi nelle loro nuove stanze in cui niente è familiare, i ragazzi fuggiti dall’Ucraina alzano un muro di silenzio tra loro e le famiglie che li ospitano. Una reazione normale, negli adolescenti: chiudersi al mondo se si vive un problema. Ma quando il problema è una guerra che ti strappa via da casa, gli adulti si trovano inermi e impreparati nel dare aiuto. E’ così che sui gruppi Facebook nati per l’emergenza, le famiglie ospitanti chiedono consigli.
Stefania di Milano non sa come fare per rendere “un po’ meno triste” il 17enne che ospita insieme alla madre. Davide racconta che con il suo 16enne scuola e sport hanno aiutato, Teresa riesce a strappare un sorriso al 14enne che ha in casa cucinando la pizza; alcune persone di Milano propongono di far incontrare i ragazzi tra loro. Pannicelli caldi sulle ferite dell’anima. “Un adolescente in crisi si chiude. Deve elaborare. Questo va rispettato e non drammatizzato. L’unico modo che hanno gli adulti per aiutarlo è favorendo l’incontro con altri adolescenti”, spiega lo psicoterapeuta e psichiatra Tonino Cantelmi. “Il compito evolutivo dell’adolescenza è quello della costruzione di reti sociali tra pari. E’ un compito importantissimo che non andrebbe interrotto, e va favorita la sua ripresa”. Ma accanto a chi si chiude nel silenzio, “ci sono molti giovani
ucraini che stanno reagendo, grazie alla possibilità di trasformarsi essi stessi in parte attiva della resistenza: che non si fa con le armi, ma è una resistenza social”, osserva Cantelmi.
“Vediamo un gruppo di adolescenti particolarmente attivo che attraverso i social cerca di aiutare chi è rimasto in Ucraina. E’ il loro modo di combattere”. E questa resistenza si gioca su entrambi i fronti: “I giovani e i giovanissimi stanno conducendo una forma di resistenza bellissima anche in Russia, con l’attivismo social su reti clandestine per informarsi e informare, senza lasciarsi incantare dalla propaganda”.